Si può dire di Carlo Goldoni che sia tra i più abili osservatori dei vizi (e delle virtù) umani. I suoi personaggi, grandi e piccoli, sono ben congegnati, dal carattere preciso, come un ventaglio – oggetto caro all’autore – che mostra tutti i colori dell’Umano. E il Sior Todero porta il suo vizio già nel nome, fatto apposta per metterlo in ridicolo: brontolon. In questo soprannome Goldoni sintetizza un insieme di difetti del protagonista, descritto al lettore come uno «che trova a dire su tutto, che non è mai contento di niente, che tratta con asprezza, che parla con arroganza e si fa odiare da tutti». Tra i tanti tratti del carattere del vecchio, il regista Paolo Valerio per la sua messinscena, che ha debuttato la scorsa estate nella cornice dell’Estate Teatrale Veronese, ne sceglie soprattutto uno: il desiderio di controllare tutti.

E dunque Franco Branciaroli, mattatore indiscusso della scena e già protagonista in altri spettacoli diretti da Paolo Valerio, indossa i panni di burbero burattinaio, comodo sulla sua poltrona, circondato da marionette. Oggetti che da vuoti legni si fanno potenti risuonatori: ora inerti, appesi, spogli, ora vestiti e vivi come un doppio degli interpreti che li manovrano, ora come protagonisti unici della scena.

Una compagnia di dieci interpreti (e tante marionette) porta così in scena una Commedia matura del veneziano, dalla trama brillantemente congegnata, fatta di volontà maschili che intendono imporsi e di intelligenze femminili che, alleandosi, riescono ad affrancarsi – il tutto in una lingua giustamente definita “poetica” dal regista, preservata nella drammaturgia dello studioso ed esperto di Goldoni, Piermario Vescovo. Una commedia che, ora come allora, «nonostante l’odiosità del protagonista», ha incontrato moltissima fortuna.